giovedì 7 maggio 2020

CALCEURBANA - articolo numero#dieci - il ritorno di Gaber, fase 2 e il piano urbanistico post-unitario

giorno 128 dell'anno 2020
Firenze, 8/7/1865: della dichiarazione di pubblica utilità

Siamo entrati letteralmente, nella FASE numero due.
Vedo commercianti aprire alcune botteghe, e i giardini romani accoglierci in selvagge ambientazioni per le prime passeggiate primaverili; gli animali scompaiono di nuovo.
Sento i rumori del mio quartiere, quelli che c'erano sempre stati ma che per quasi due mesi ho solo ricordato fischiettando il testo del Signor G:

"Com'è bella la città
Com'è grande la città
Com'è viva la città
Com'è allegra la città

Piena di strade e di negozi
E di vetrine piene di luce
Con tanta gente che lavora
Con tanta gente che produce

Con le réclames sempre più grandi
Coi magazzini le scale mobili
Coi grattacieli sempre più alti
E tante macchine sempre di più".
 
Prima l'ansia di reclusione ed ora, sembra, la paura di uscire.
Io nel frattempo ho ricavato uno spazio tra la fitta rete del web; fatto di brandelli di bit, immateriale, immaginato, ma esistente. 
Si chiama Calceurbana.
Un contenitore decontaminato dal virus.
Immune al COVID-19 e rivolto a tutti.
Vi auguro di ri-cominciare felici.
Buona lettura.


Quando per grazia di Dio e per volontà della Nazione, Sua Maestà Re d'Italia Vittorio Emanuele II ordinava la pubblicazione in Gazzetta della Legge sull'espropriazione per pubblica utilità e l'immediata abrogazione delle precedenti regolamentazioni in materia, il Regno aveva trasferito la Capitale d'Italia nella città di Firenze da poco più di cinque mesi.
La tipografia preposta alla ricezione degli atti da pubblicare era diretta dagli Eredi BOTTA, con sede in Via del Castellaccio 20, nel brano urbano rinascimentale del Brunelleschi.

In vista del trasferimento della Capitale da Torino, infatti, urgeva ripensare l'assetto della strumentazione urbanistica da adottare per l'esecuzione degli interventi di sistemazione, funzionalizzazione e monumentalizzazione della città deputata ad accogliere le cariche di governo; fu così che su proposta del Nostro Guardasigilli Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, in accordo con il Ministero dei Lavori Pubblici e della Guerra, la Stamperia di Firenze darà inchiostro ai 101 articoli costituenti la nuova Legge sull'esproprio: n. 2359 della Raccolta Ufficiale delle Leggi e Decreti del Regno.
La legge, in auge già dal 1861, rappresentava uno strumento legislativo generale di supporto per le attività di pianificazione territoriale, valido su tutto il territorio nazionale e caratterizzato da un corpo tecnico-giuridico in grado di consentire qualsiasi operazione preliminare alla trasformazione della città da parte dell'operatore pubblico attraverso il trasferimento coatto del suolo allo Stato per la progettazione e la realizzazione delle attrezzature pubbliche, nonché degli interventi di espansione, secondo le previsioni programmate dall'Amministrazione.

I principi di governo del territorio veicolati da questa legge saranno caratterizzati infatti da una modalità di attuazione diretta del piano regolatore (non ancora di tipo "generale"), per interventi localizzati in precisi ambiti di tessuto edilizio, secondo una linea di azione che la legge stessa formalizzerà attraverso la stesura dell'intero apparato normativo, prescrivendo la redazione di due documenti progettuali distinti:
  1. il piano regolatore edilizio, volto a definire puntuali interventi su tessuti edilizi e viari della città esistente, favorendo l'emanazione di provvedimenti tesi ad allineare piuttosto che risanare il tessuto della città storica, per ottimizzarne le condizioni generali di abitabilità e di circolabilità; come disciplinato dal capo VI art. 86;
  2. il piano di espansione, volto a disegnare l'immagine di crescita ed espansione della città attraverso la progettazione della nuova forma urbana, individuando le aree libere e dimensionando al tempo stesso i perimetri dei futuri singoli lotti mediante l'inserimento delle maglie infrastrutturali, individuandone così anche i rispettivi spazi pubblici; documento introdotto dal capo VII art. 93.
In questa veste, l'istituto dell'esproprio post-unitario mostra ai privati cittadini del Regno la propria essenza e finalità strumentale per l'acquisizione di aree/lotti ben definiti e circoscritti, necessari per soddisfare i bisogni del Comune in quel preciso frangente storico; attraverso l'attivazione delle misure espropriative, infatti, il Comune non intende programmare o pianificare in maniera generale e diffusa gli interventi sulla città, bensì eseguire in maniera puntuale, interventi di tipo locale su terreni e/o fabbriche oggetto d'interesse per ragione di pubblica utilità.
Il neostrumento non è ancora perfezionato e pronto per rappresentare uno strumento legislativo di governo generalizzato sull'intero territorio comunale; difatto, la mancata introduzione di norme tecniche di attuazione specifiche non consentirà all'Amministrazione di disciplinare in maniera formale, ad esempio, l'introduzione, piuttosto che trasformazione/alterazione, delle destinazioni d'uso dei corpi di fabbrica presenti o da realizzarsi.
L'effettiva carenza di una regolamentazione specifica sui parametri di quantità edilizia (densità, destinazioni d'uso etc.) non consentiranno infatti che la sola costruzione degli edifici nei lotti perimetrati, demandando agli Architetti urbanisti il compito di curarne l'aspetto formale e di relazione con il contesto urbano viario-architettonico circostante.

Unici parametri da rispettare incombenti sull'attività edificatoria da parte dei privati erano i distacchi tra gli edifici, le altezze e gli allineamenti; canoni consolidatisi attraverso i principi di monumentalità che le città del Regno e dell'Europa continentale, avrebbero razionalmente perseguito nella costruzione delle nuove immagini urbane da li a fine secolo. 

Interessante è notare come in questi primi anni dall'emanazione della legge sull'esproprio, il potere dell'azione urbanistica abbia contribuito nel costituire due principali radici culturali e disciplinari dell'attività pianificatoria: da un lato la schiera di ingegneri di derivazione pressoché nordica, ancorati all'immagine del Funzionario d'Igiene operante a livello di ufficio tecnico comunale, associabile al "Sanatore" urbano e per questo impegnato nello sviluppo di piani urbani tesi appunto a risanare o funzionalizzare porzioni e brani di città (vedi gli sventramenti di Napoli operati per la quarta ondata di colera); in contro altare, i gruppi di architetti, dediti alla progettazione dell'intero corpo di fabbrica, alla monumentalizzazione dei prospetti e delle facciate e per questo impegnati nel ridisegnare l'immagine urbana attraverso l'adozione di un linguaggio rivolto alla continua ricerca ed applicazione dei canoni di bellezza.

Teatro di prima esecuzione di questo neostrumento sarà proprio Firenze, per opera del Poggi; Architetto fiorentino di stampo accademico, amante dei parchi inglesi e divenuto esperto nel disegnare elegantemente viali, piazze, giardini di ampio respiro e palazzi pubblici attraverso fiorenti incarichi commissionategli della nascente borghesia ottocentesca (la neoclassica Villa Favard in Via Curtatone 1); opere in corso di realizzazione nelle più grandi capitali europee nel corso dello stesso periodo.
In una città del tutto ferma, immobilizzata nella crescita e racchiusa nelle sue strette mura trecentesche, Giuseppe POGGI disegnerà la nuova espansione con esaltazione architettonica neoclassicheggiante, dando il via ad una configurazione urbana capace di ospitare la nuova Capitale del Regno al cospetto di Sua Maestà.

L.C.  
 






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