domenica 26 aprile 2020

CALCEURBANA - articolo numero#nove - città-porto di Alsium e docenza nelle province Odescalche

giorno 117 dell'anno 2020
2017: dediche personali nell'etruria laziale

Alla fine è tornato il bel tempo.
Le recenti tiepide piogge hanno confinato il temuto batterio tra i tombini della città rinnovando l'aria del quartiere per concederci, sembra, una tregua, e forse, la possibilità di provare a respirare a pieni polmoni.
Forse con meno ansia.

E' ancora molto vivo il ricordo d'Aprile del 2017, anno che mi vedeva impegnato in parte come docente ministeriale presso un istituto tecnico della malinconica provincia romana; ero stato inoltre nominato Commmissario alla sessione degli esami di giugno e i candidati sembravano pronti a scendere in spiaggia, a far festa tra gli ombrelloni in paglia del litorale.
In effetti, era pressochè giunta l'estate, e con lei, anche i vibranti torni vacanzieri.
Senza quella nomina, probabilmente non avrei mai scoperto il talento culinario del nipote di Amedeo Minghi, che a 150 metri da quell'istituto preparava fenomenali arancini ripieni di polpa di granchio; un profilo somatico noto e inconfondibile quello del ragazzo, che ci omaggiava dei suoi saporiti tributi sinfo-gastronomici dentro la ricca rosticceria.

Mi spostavo in treno perchè immancabile occasione contemplativa del paesaggio oltrechè fonte di continua immaginazione, anche se per poco; 40 minuti circa, trascorsi tra le fitte quinte alberate dell'Aurelia, bordate da alti canneti e salici verdissimi.

All'arrivo, in stazione, l'odore ferroso tra le banchine, quasi a preannunciare il nero manto del litorale tanto amato dal romano giornalista Iannattoni, sabbia che sponsorizzava negli anni cinquanta per le proprietà benefiche; scriveva infatti che il Ministero della Salute avrebbe dovuto consentire l'apertura di poliambulatori proprio su di essa, ponendoci le stesse sale d'attesa per promuovere il trattamento di sabbiatura ai pazienti in fila.
Baldassarre Ladislao ODESCALCHI Principe
LADISLAO Odescalchi
Poveri capannari e barcaroli del Tevere!
La calde stagioni di quegli anni avrebbero in breve spostato anche gli ultimi bagnanti romani a pochi chilometri nord della capitale; il tutto, all'insaputa - o quasi - del "Caronte" di Porto Ripetta.
Il noto traghettatore, infatti, non avrebbe mai immaginato che da li a poco sarebbe arrivata l'odescalca città di Ladislao per dare il colpo mortale alle pittoresche capanne teverine, e con loro, ai pochi imprenditori fiumaroli come lui.
La deviazione ferroviaria voluta dal giovane Principe Odescalchi avrebbe infatti garantito un rapido esodo dalla calura cittadina con partenza treni Termini - Trastevere due volte al giorno, assicurando i rientri alle famiglie per l'ora di pranzo e in serata, dopo le 21:00.
Poche speranze, quindi, per il lupo di fiume dalla barba bianca e lanosa che il romanesco Pascarella, ci dice, rispondeva così: "Caro Lei...troppi stabilimenti...se capisce che l'affari vanno male! [...] "Alto e robusto con la faccia abbrunita dal sole, siede gravementesulla poppa di una sua barca, chiamata l'Arca di Noè, e non abbandona il suo posto se non per raccogliere dignitosamente nella berretta il prezzo del breve viaggio fluviatile [...].
"Caro Lei" diceva al viaggiatore, "Li tempi de na'vorta! Allora, difatti, quando al cominciar dell'estate non era ancora venuta la moda del fuggirsene sulle rive del Tirreno azzurro e dell'Adriatico verde, l'inaugurazione della capanne era davvero per la vita romanaun avvenimento, ma adesso invece è divenuta la cosa più semplice al mondo. [...] Troppi stabilimenti, li tempi de na'vorta sò finiti!" 

Trascorsi la mattina dei natali di Roma lì, in quell'aprile di tre anni fa, al bordo di una pianura scottata da un sole già fortissimo e lambita dal passaggio di un vento al profumo di campagna intriso di mare; un'aria bagnata e colma di sale mi ridestava in poco, appena sceso dalla carrozza.
Il tragitto sconnesso, in direzione dell'istituto, ero solito percorrerlo in compagnia di un collega Architetto residente nei pressi di Ostiense in Roma, esclusivamente impegnato nell'arruolamento ministeriale tanto che da lì a pochi mesi, sarebbe stato immesso definitivamente in ruolo; una persona meritevole ed estremamente buona, dal volto sincero in tutte le occasioni.
Era originario di terre calabre, motivo per cui non soffriva del potenziale senso di estraneazione generato da simili paesaggi urbani fuori stagione, affezione patologica particolarmente diffusa ed avvertita invece da noi Architetti romani, se proiettati appena fuori da G.R.A., in realtà urbanistiche sviluppatesi prevalentemente nel corso dei noti cicli speculativi edilizi; ma lui no, lui non si lamentava.
Anzi, da buon uomo del sud scalava abilmente le vette dell'adattamento evitando in modo del tutto naturale qualsiasi forma traumatica; si spostava in biciletta, ambientato negli usi quotidiani di quella realtà marittima che in poco tempo lo aveva reso parte integrante del desiderato quieto cosmo provinciale.

ALSIUM - estratto cartografico del 1820 circa
Io invece mi preoccupavo di collezionare angoli con identità e carattere, capaci di valorizzare, tra il fitto bosco edilizio del corso e le ville diradate dalla stazione verso il mare, i miei brevi soggiorni bisettimanali. 
La mia, più che una malattia, si manifestava piuttosto come una forma di resistenza alle profetiche parole di Giovanni Michelucci, secondo cui non era l'uomo a fare la città ma la città l'uomo; circostanza che mi portava a misurare con maggior attenzione le distanze, contribuendo però a farmi coltivare gioiosamente e con slancio, le relazioni interne alla stessa città, affinchè al posto dei ripetitivi vuoti urbani potessi immaginarmi dei luoghi "sempre belli e generativi di incontri" (Arch. Giovanni Michelucci).
Una necessità per le anime belle - così le chiamava il nostro poeta P.P.P. - quella di riconoscere il bello a tuti i costi e ovunque, nel quotidiano.

Poi c'era lei, una collega della Sicilia.
Anch'ella impegnata nella ricerca del bello ma per ragioni decisamente meno patologiche, estetizzanti e critiche delle mie; aveva infatti lasciato sull'isola il marito con il cane per dedicarsi alla nomina da docente e nei fine settimana passeggiava sulla spiaggia per guardare il mare, quasi servisse a riconciliarsi con loro e le meridionali terre.
Era dotata di un potentissimo fascino intellettuale e di una pazienza imbarazzante e malgrado il suo inquieto stato d'animo saturo di pensieri rivolti alla famiglia, dedicava incredibili sorrisi a tutti i colleghi, indistintamente.

Credo piacessi ad entrambi e loro piacevano a me.
Con loro due, lì, la mia permanenza assumeva un carattere coinvolgente e di coinvolgimento reciproco.
Lì dove nei pressi del Borgo di Palo sorgeva in pietra l'etrusca città-porto di Alsium, sottratta dai Romani e divenuto strategico accampamento.
Dove nelle perdute trame del paesaggio agrario, un tempo geometriche centurie romane scandite da canali e fossati tra il Vaccina e il Sanguinara, terra tra i due fiumi che il giovane Odescalchi astutamente lottizzò su disegno dell'Ing. Cantoni al termine del XIX° secolo.
Proprio lì.
Tra una manciata di ricordi felici e i frammenti di un lontano dramma familiare, riuscivo a sentirmi a casa.

Allegato planimetrico all'Atto di compravendita di terreni curato dal Notaio Buttaoni in Roma tra le parti Principe Baldassarre Ladislao Odescalchi e l'impresa dell'Ing. Vittorio Cantoni (anno 1888).

Ma è con voi due, colleghi e amici di quel breve trascorso, che i brani della città sembravano più belli e spontanei di come realmente ci apparivano a tutti e tre.
Ed è forse grazie a questo ricordo che oggi mi appare ancora così.
Una città in grado di averci accolto e fatto incontrare, scritta in parte anche da noi, con le nostre memorie, oltre gli edifici.
Una città vera, ma anche un pò immaginata.
La città del nostro anno.
La città di Ladislao.

Vostro
L.C. 


P.S.
E' icredibile come in questo ritratto vi sia tanta somiglianza tra il Principe e il Poeta Gabriele D'Annunzio!
Fateci caso.




sabato 11 aprile 2020

CALCEURBANA - articolo numero#sette - tramezzi in appoggio, stati tensionali e psicopatia dell"open space"

giorno 102 dell'anno 2020
quando senti dire: "demolire,demolire,demolire"!

E' con una nuovissima (ed attesa) proroga delle misure contenitive che giungiamo al centoduesimo giorno dell'anno; precisamente ad un giorno dalla Santa Pasqua.
Il meteo sembra aver preso davvero la giusta piega: un sole tunisino di latitudine tutta romana ci condiziona euforicamente già dalle prime ore del mattino dorando le nostre timidi pelli ancora pallide ed abituate al tepore degli abiti in lana che tra qualche giorno saluterò definitivamente in favore dei tessuti cotonati e tinti dai toni pantoni!
Ma gli effetti più positivi delle promettenti temperature sembrerebbero registrarsi sui nostri audaci spiriti.
Puntiamo tutto su questa maledetta primavera e sulle forti vibrazioni che solamente il clamore pre-estivo riesce puntualmente a procurarci.
Sembra infatti consolidato il principio che l'estate rappresenti in questi giorni, più di qualsiasi altro periodo dell'anno, un vero stato mentale con il quale liberarci dal buio calato in fretta su tutta la nazione, capace di veicolare i ricordi più felici vissuti in spensieratezza la scorsa estate e di farci immaginare quelli che forse, al termine della lotta epidemica, potremmo tornare a vivere.

Lieto che tutta questa atmosfera stia progressivamente contribuendo al miglioramento delle condizioni mentali di ognuno, mi pregio di introdurvi un tema ancora drammaticamente sottovalutato, non solo dai cittadini/abitanti dei singoli nuclei insediativi - circostanza in parte giustificabile - quanto da alcune cerchie di colleghi nel pieno delle loro funzioni di esercizio professionale: la demolizione di strutture verticali interne alle cellule edilizie per lo più storiche, apparentemente - ma solo apparentemente - apprezzabili come tramezzi, ossia come elementi murari aventi funzioni non portanti.
Carlo FORMENTI - La Pratica del fabbricare (1893) TAVOLA XIV
Mi è capitato di relazionare più volte il tema dinanzi a sfere di differenti uditori, anche in sede pubblica, con il risultato di aver acceso interessanti dibattiti a seconda delle casistiche, e per di più, delle esperienze professionali registrate dai miei stessi interlocutori. 
E' un tema che in parte mi rattrista perchè nel campo d'indagine dovrebbe anzitutto sussistere un resistente velo di umiltà e rispetto nei confronti del patrimonio firmato da precedenti colleghi, oltre che un forte atteggiamento prudenziale, atto a garantire, secondo quanto riconosciutoci dalla Costituzione e dall'ordinamento giuridico negli anni, il rispetto del principio di preminente interesse rivolto alla tutela della pubblica incolumità; principio riconosciuto, per l'appunto, unicamente alla figura dell'Architetto e dell'Ingegnere.

Perchè parlo di umiltà?
- Perchè senza di essa non vi sarebbe stimolo intellettuale, nè curiosità d'indagine investigativa, tantomeno sviluppo; anzi, si costituirebbero infruottuose ricerche, inutili persino nella sfera accademica!
- Perchè anche al più esperto e facoltoso dei consulenti tecnici non dovrebbe mai mancare l'umiltà nello studio del caso;
- Perchè ogni caso è differente e risponde alla storia di quel preciso organismo edilizio, alla stregua del corpo umano, in cui risulta difficile poter diagnosticare con accuratezza d'indagine gli innumerevoli contributi soggettivi che potrebbero agevolare l'innesco di determinati meccanismi globali in campo statico. Figuriamoci in campo dinamico con il contributo delle azioni sismiche!
- Ma soprattutto perchè nel nostro mestiere un errore può costare il prezzo di vite umane, l'errore è purtroppo sempre dietro l'angolo, così come il danno, i collassi e i disastri.

Ad ogni modo, il tema di discussione credo possa fondamentalmente svolgersi attraverso l'analisi prima, e la cura dopo, di due gravi forme patologiche sviluppatesi nell'uomo postmoderno a partire dalla seconda metà del XX° secolo:
  1. lo stramaledettissimo "OPEN SPACE". Trattasi infatti di un irrefrenabile desiderio di natura ossessivo-compulsiva caratterizzato dalla necessità di voler sventrare le spazialità interne di una cellula, ad esempio abitativa, attraverso l'eliminazione di qualsiasi tramezzo interno ad essa, per prospettare ambiziose piazze urbane - seconde solo a P.zza Erbe o a P.zza di Siena per dimensioni- in sostituzione delle cucine, sale da pranzo, tinelli, soggiorno e camere da notte inizialmente progettate per quella specifica tipologia edilizia. Fine ultimo dell'open space è per l'appunto perimetrare sotto un'unica massa volumica l'originario impianto tipo-morfologico dell'organismo edilizio attraverso operazioni demolitorie in favore di ambienti unici - talvolta promiscui - anzichè autonomi sotto il profilo funzionale oltrechè ben definiti sul piano distributivo;
  2. l'atteggiamento, potenzialmente manifestabile dal Progettista richiamato nell'incarico di cui al precedente punto 1, qualora avallasse, nei concreti limiti di fattibilità tecnica dell'intervento ed a seguito delle rituali verifiche ricognitive, la reale esecuzione delle opere; ponendosi in tal senso come l'estensore di un progetto lessicalmente contrastante con l'originario impianto edilizio, e per questo, incapace di poterne identificare i valori storici in virtù della snaturalizzazione dell'identità architettonica originaria.
Per quanto entrambe ampiamente diffuse tra gli individui, la prima risulta principalmente circoscritta ai non addetti ai lavori, e pertanto individuabile nella figura del Committente; di contro, la seconda si riscontra (più raramente ma si riscontra comunque) nei Tecnici Progettisti, i quali, in preda all'irrefrenabile istintivo desiderio dei Committenti, veicolano la fattibilità delle opere mediando diplomaticamente tra le logiche operazioni estimative, strutturali, impiantistiche e compositive. Una fatica incredibile ma certamente graziabile se forniti della giusta umiltà verso l'analisi del caso; unica chiave di salvataggio capace di mostrarci il problema da differenti angolazioni sino ad indirizzarci verso soluzioni alternative, da intendersi non come secondarie o meno importanti rispetto alla principale quanto sostanzialmente e formalmente differenti, diverse.
E' bene ricordare infatti come i nostri Padri non abbiano esitato in alcun modo nel proporre ai loro Committenti (PAMPHILI, ORSINI, FARNESE, ANGUILLARA, LUDOVISI, ODESCALCHI, l'intera stirpe di papi e famiglie aristocratiche commissionavano talvolta all'Arch. Bernini, al Bramante, al Barozzi, al Vignola, allo Specchi, al Sangallo, al Valadier, al Vanvitelli, al Fontana, al Borromini al Maderno etc..) quante più soluzioni progettuali possibili per la realizzazione dei più importanti patrimoni storico architettonici ed urbani oggi presenti al mondo (il cui 70% è presente sul territorio italiano).
Tempio di Atena a Ortigia (Duomo di Siracusa)
Messaggio ai miei dotti colleghi: ricordiamoci l'importanza di garantire continuità storica tra gli interventi costruttivi da noi firmati e quelli passati, sui quali interfacciamo quotidianamente le nostre proposte progettuali per necessità dei nuovi eredi e proprietari dei beni.
Ricordiamoci quanto sia importante consentire la lettura, la codifica del lavoro svolto.
Non è solo questione di metodo, di tecnica o scienza.
Dobbiamo agire promuovendo la comunicazione dei nostri intenti affinchè siano sempre riconoscibili i caratteri ed i principi applicati per mezzo delle nostre scelte: in rosso vedete la meravigliosa peristasi greca di matrice dorica con impianto periptero esastilo del V° sec. a.C. inglobata nelle attuali vesti tardo seicentesche, vestigia che i Normanni prima o gli stessi architetti del barocco poi, avrebbero (disgraziatamente) potuto eliminare.

Concludo le premesse rassegnandovi il seguente referto:
- la cura del punto 1 è garantita dal punto 2, ossia dal soggetto affetto dalla forma patologica espressa nello stesso punto 2,
a patto che:
- il soggetto citato nel punto 2 (il Progettista), anch'esso potenzialmente malato se affetto dalla forma patologica espressa nello stesso punto 2, 

rivolga la sua attenzione al caso secondo un approccio tecnico scientifico fondato sull'umiltà e sul profondo rispetto della preesistenza; studiando, analizzando ed osservando. 
Date le premesse, termino l'articolo con un misero ma molesto accenno al problema della rimozione dei tramezzi nei corpi di fabbrica, che grazie all'esperienza sul campo romano posso personalmente esprimere, operando di fatto ordinariamente su strutture di edifici realizzati quasi sempre sul finire del XIX° secolo (se non precedenti), identificati in tal senso come tessuti edilizi prevalentemente storici e per questo caratterizzati da sistemi costruttivi ancora appartenenti al mondo antico.
Ebbene, sotto sforzo o meno, sono da ricondursi al campo d'indagine della c.d. medicina strutturale, è bene pertanto che l'analisi clinica venga eseguita sul bene con la massima perizia e diligenza del caso, attraverso la conduzione delle tre canoniche fasi di lavoro decantate dai tempi universitari e tramandate dai noti saggisti e cultori della materia:
  • visita di sopralluogo; 
  • ricognizione documentale e anamnesi dell'organismo edilizio; 
  • rilievo tecnico e diagnosi.
Non a caso ho deciso di allegare una tavola costruttiva del Formenti riferita ad una costruzione civile realizzata sulla via Nomentana (se disponete di 1.500,00 euro per farvi un regalo al compleanno vi cosiglio di acquistarle), un trentennio dopo l'unità d'Italia, caratterizzata da una pianta regolare con struttura portante in muratura, tre corpi scala allineati sullo stesso piano e due ampi mezzi cortili, notevole percentuale di foratura dei cantonali, maschi rastremati verso i piani superiori. 
Guardando la pianta (piano terreno) ed esaminando la seconda campata da destra, individuata dall'ammorsatura del maschio perpendicolare al cantonale di facciata, notiamo un vano di servizio avente affaccio su strada generatosi per chiusura sul lato sinistro da un paramento murario di spessore assai più ridotto rispetto al maschio stesso, ma comunque disegnato con notevole ampiezza di tratteggio; un elemento che se non debitamente esplorato attraverso dovuti saggi ricognitivi potrebbe in prima istanza presentarsi come "sacrificabile".
Fortuna che il progetto di fabbrica dell'epoca fughi il 90% dei dubbi ancor prima di procedere al sondaggio della tipologia e consistenza di orizzontamento presente superiormente al muro; infatti:

- il tramezzo presenta uno spessore di 15cm, è composto da una tessitura ordinata di laterizi pieni allettati in calce con intonaci di pozzolana spessi 1,5cm. (stonacando la parete verrà poi notata un'ampia piattabanda ad arco ribassato con i conci terminali ammorsati tra il cantonale ed il maschio, a circa 2/3 dell'altezza totale);
- l'orizzontamento del piano superiore (particolarmente elastico) è composto da voltine in mattoni pieni posti in testa con passo tra travicelli in ferro di circa 55cm. 

Eseguita la ricognizione documentale, i carotaggi condotti all'ultimo ricorso del tramezzo mostrarono la completa assenza del travicello in ferro laddove, senza dubbio, doveva essere posto in opera per garantire continuità alla tessitura delle voltine; ruolo in tal senso ricoperto dal tramezzo stesso in veste di appoggio verticale.
Risultava pertanto necessario mantenere eretto il paramento murario per garantire lo stato di equilibrio tra gli elementi consolidatosi in più di un secolo, promuovendone le conservazione degli stati sollecitativi, migliorandone al tempo stesso il comportamento attraverso semplici interventi, eseguiti poi successivamente.
La fortuna - o speranza - di entrare in possesso del patrimonio documentale riferito all'originario impianto di fabbrica è certamente notevole e di grande supporto (dovrebbe essere normale, come per il Notaio acquisire la provenienza curata dal suo collega 150 anni prima) ma non sempre risulta possibile visionarne e quindi studiarne l'intero incartamento a causa delle incompletezze di fonte, con il rischio di non riuscire a comprendere alcune scelte costruttive operate dagli Architetti a monte del progetto.
Ricordarsi quindi che il cantiere è un luogo in continuo divenire capace di sovvertire o modificare le regole di progetto in corso d'opera rappresenta oggi un assunto molto importante divenuto ormai intrascurabile per gli studiosi, soprattutto se riferito ai processi edilizi delle architetture antiche in cui alcune scelte, sebbene ponderate con validi criteri, dovevano rispondere soprattutto ai canoni delle regole dell'arte, tramandate unicamente dall'esperienza maturata sul campo.
Dunque sappiate che quel travicello mancante, con molta probabilità in cantiere non arrivò mai, motivo per cui si decise di optare per una logica costruttiva alternativa che riuscisse comunque a garantire la dovuta stabilità e rigidezza del piano richiesta dal caso; inoltre, per evitare che detto appoggio incrementasse fortemente i valori di carico lineari sul solaio di calpestio (benchè costituito da un piano sormontato da volte a botte), venne realizzata una centina in legno a circa 2/3 dell'altezza del tramezzo per porre in esercizio un arco ribassato volto a scaricare quota parte del peso rispettivamente in direzione del cantonale e del maschio.

Il fascino del saper fare di una volta, nei cantieri di una volta!

(Chiamate sempre il vostro Architetto o Ingegnere di fiducia, anche solo per un controllo preliminare o per valutare i margini di sicurezza attinenti all'intervento).

Comunque quel giorno andò bene, proprio per un caso del tutto analogo..
Niente open space e qualche vita umana risparmiata o come diceva il mio professore di tecnica delle costruzioni: "un paio di morti in meno sulla coscenza Cacciatò!".

La prossima volta vi racconto di quando andò male, ai tempi del tirocinio presso un famoso Studio di architettura e ingegneria di Roma.
Nel frattempo però vi auguro Buona Pasqua.
Vostro,
L.